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martedì 29 aprile 2014

Il nano di Cosimo I

Nella cultura popolare antica i nani rappresentavano l'incarnazione del male e del peccato che si rivelavano al mondo attraverso le varie deformità di quei corpi sgraziati.Questa visione patologicamente malsana perdurò fino a gran parte del Medioevo, tant'è che venivano reietti al pari di prostitute, ebrei, lebbrosi, musulmani e assassini. Non trovando posto nella società come normali individui, sfruttarono la loro bruttezza per far divertire la gente, inventandosi il mestiere di giullari e buffoni.
Guardati con sospetto dalla Chiesa che ne condannava il modello di vita, sbeffeggiati, ridicolizzati e famosi soprattutto per le loro volgari facezie, sopravvivevano grazie alla carità di qualche ricco signore che li prendeva con sé a guisa di animali esotici da conservare insieme ad altre strane curiosità, elencati negli inventari insieme ai gioielli e agli oggetti preziosi.
In Italia i buffoni fiorirono soprattutto nel Rinascimento e, pur mantenendo la loro caratteristica di stravagante anomalia, riuscirono a ritagliarsi un posto d'onore nelle grandi regge europee, inizialmente solo come gingilli di lusso da mostrare agli ospiti, ma poi, pian piano, taluni appropriandosi anche del ruolo di mentori e confidenti. 
A Firenze, resta immortale l'esempio di Braccio di Bartolo, meglio conosciuto come Morgante, vissuto nel XVI secolo alla corte di Cosimo I de' Medici. Il soprannome era stato beffardamente accostato alla figura del gigante dell'omonimo poema di Luigi Pulci, ma se non grandioso di membra lo era nello spirito: intelligente, colto e astuto, era uno dei preferiti di Cosimo che lo scelse addirittura come confidente, portandolo con sé in alcuni dei suoi viaggi diplomatici. 


Tacca e Giambologna- Monumento a Cosimo I  (sullo sfondo il nano Morgante)
Fu immortalato dai più bravi maestri della sua epoca, sia in dipinti che in scultura, basti pensare alla famosissima fontana del Giardino di Boboli, di Valerio Cioli, che lo ritrae nudo, a cavallo di un'enorme testuggine. 





Agnolo Bronzino fermò il suo personaggio in un doppio ritratto in veste di "uccellatore" , prima e dopo la caccia,




mentre il Giambologna si ispirò a lui per realizzare una fontanella bronzea in cui,sempre nudo, era stavolta seduto su un mostro marino, custodito al Bargello. 




Non sono molte le notizie sulla vita di Braccio di Bartolo: sembra che l'unica cosa certa è che abbia avuto dei figli e che Cosimo gli abbia regalato un appezzamento di terreno per farli crescere senza affanni. Per celebrare il suo ricordo, il Lasca compose un delicato poema "In morte di Morgante nano" da lui definito, un po' crudemente, un "misto d'uomo e di bestia", ma, poi riprendendosi, "mostro grazioso e bello", tanto da meritare nei cuori di chi lo piangeva lo stesso dolore che si riserva ad un uomo normale...


















domenica 27 aprile 2014

Il Cimitero Monumentale Ebraico in viale Ariosto



In viale Ludovico Ariosto, racchiuso da un alto muro che ne preserva gelosamente la sacralità, c'è il Cimitero Monumentale Ebraico, costruito nel  1777 ed in uso fino al 1870, quando ne fu aperto un altro, più nuovo,  in via di Caciolle, nella zona di Rifredi. Anche se appare molto trascurato, vale la pena di andarlo a visitare perché offre una testimonianza artistica e storica di grande valore, soprattutto per la presenza di raffinate cappelle funerarie in stile neoegizio e neorinascimentale  e lapidi molto antiche. Secondo l'uso ebraico, le tombe non devono essere eccessivamente elaborate e recare l'immagine del defunto, per cui quelle monumentali sono estremamente rare, tanto che in questo cimitero se ne contano solo tre, disposte lungo il viale centrale. 




La prima, appartenente alla famiglia Levi, costruita subito dopo l'Unità d'Italia, ha forma piramidale ed è rialzata dal terreno grazie ad un ampio basamento in pietra. Il portale d'ingresso è decorato con lo stemma della stirpe e con un rigoroso frontone triangolare. All'interno si conservano ancora  delle corone fatte di foglie, ormai ingiallite e secche, che sicuramente avranno accompagnato le salme fino al loro ultimo viaggio. 





Accanto alla piramide c'è un'altra cappella, quella della famiglia Servadio, quasi interamente nascosta dalla vegetazione incolta. Anch'essa è stata realizzata in stile egizio ed è ornata da raffinati pilastri a fascio, mentre il sarcofago è posto sotto al simbolo del disco solare alato a rappresentare la divinità, la regalità e il potere.





Il terzo sacrario, quasi sicuramente realizzato su disegno del Treves, l'architetto che ha anche progettato la sinagoga fiorentina, è completamente diverso: si tratta di un tempietto con pareti aperte, ben divise da colonne e il tetto con tegole poste a squame di pesce.























Le altre sepolture variano da semplici sarcofagi molto lineari a quelli riccamente decorati con sculture di tessuti ricadenti, foglie e fiori, zampe leonine e rovine di colonne antiche.



Il cimitero è aperto solo una domenica al mese: la visita, della durata di circa un'ora, va prenotata telefonicamente.



lunedì 21 aprile 2014

Una romantica passeggiata

Camminare a piedi non solo fa bene alla salute, ma anche allo spirito. Uno degli itinerari più struggenti e suggestivi è certamente via delle Forbici, un'antica strada che, partendo da viale Volta, si inerpica su per il colle fino a giungere a San Domenico. Incassata fra le mura, come un gioiello prezioso, ombreggiata dalle fronde di alberi secolari, offre ad ogni passo lo stupore di un palazzo antico, di un maestoso cancello che si apre su giardini silenziosi.

Villa il Ventaglio - via delle Forbici
Il nome della via deriva dallo stemma dei Della Tosa, meglio conosciuti come Tosinghi, un emblema formato da un paio di forbici d'argento per tosatori in campo azzurro.





Nella parallela via di Barbacane, che come via delle Forbici serpeggia in salita, si può vedere una delle curiosità più strane di Firenze: sul muro in curva, dove sbocca in via della Piazzola, c'è una famosa iscrizione in latino che spiega "A matre et filia aeque disto" ovvero Fiesole, la madre, e Firenze, la figlia, sorgono ad identica distanza da questa lapide ancora ben leggibile, nonostante l'usura del tempo. 






Ma, dietro al fascino della  rivelazione, c'è un errore storico: Florentia, infatti, non era un'appendice di Fiesole ma fu fondata dai romani nell'anno 59 prima di Cristo, anche se alcuni studi ipotizzano che furono proprio gli etruschi di Fiesole a scendere al piano e ad insediarsi in un punto strategico dell'Arno, dove addirittura installarono un ponte di legno e pietra per poter meglio accedere al fiume.