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lunedì 24 agosto 2015

Il satiro rubato

Raffaello Borghini, commediografo e poeta fiorentino del Cinquecento, quando descrisse la Fontana del Nettuno di Piazza della Signoria ne fece un ritratto così vivace tanto da sembrare d'esser lì a rimirarla: “Nettuno è alto braccia dieci, e ha fra le gambe tre Tritoni di marmo, posando sopra una gran conca marina, che gli serve per carro, a cui sono in atto di tirarla quattro cavalli. (…) Il gran vaso, in cui l'acqua cristallina (che per molti zampilli salendo in aria ricade), è fatto a otto facce di marmo mistio (…) con molte cose marine (…) e quattro statue di metallo più grandi del naturale, due femmine, figurate per Teti e per Dori, e due maschi, rappresentati due dei marini”. 

E ai loro piedi, un corteo di fauni, ninfe e satiri in bronzo, scattanti e vitali, ad opera del maestro fiammingo Jean Boulogne, più noto come Giambologna, ognuno col suo preciso carattere magistralmente scolpito in volto. 





Ma una delle figure, più precisamente il satiro che guarda l'angolo del Palazzo, è solo una copia, modellata da Francesco Pozzi nel 1831 per sostituire l'originale rubato da una brigata di festaioli durante il Carnevale del 1830. 


Non si sa precisamente come siano andate le cose ma sembra che un gruppo di birboni mascherati da pagliacci facessero un bel girotondo intorno alla fontana, chi rivestito da pagliaccio, chi da Arlecchino, chi da Pulcinella. Ma al mattino, spenti gli ultimi scherzi e schiamazzi, ci si accorse che il deforme Pulcinella che danzava sorretto dagli amici altri non era che uno dei satiri imbacuccato nel camicione bianco della maschera napoletana. 



Probabilmente fu portato all'estero, ma sono solo ipotesi visto che non se n'èsaputo più niente né forse mai si saprà!

martedì 11 agosto 2015

Girolamo Segato, il pietrificatore

La Basilica di Santa Croce, oltre ad essere uno straordinario gioiello dell'arte gotica fiorentina, è nota a tutti per le tombe di artisti, scienziati e letterati che conserva silenziosamente da secoli, tanto da meritare dal Foscolo nel suo carme “De Sepolcri”, l'appellativo di “Tempio dell'Itale glorie”. Sul pavimento di tutta la chiesa ci sono ben 276 loculi e tanti altri si trovano lungo le pareti.
Dovunque l'occhio si posi ecco nomi di personaggi che hanno fatto la storia di Firenze e non solo: Michelangelo, Galilei, Machiavelli, Rossini, Alfieri e lo stesso Foscolo, che volle essere qui ricordato insieme agli “uomini illustri”. 



Tra le innumerevoli lapidi di ogni foggia e preziosità, ce n'è una davvero singolare che reca uno strano quanto misterioso epitaffio: "Qui giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato, se l'arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell'umana sapienza, esempio d'infelicità non insolito". Ma chi era quest'uomo, sicuramente non comune se è stato seppellito fra tanti egregi signori? Naturalista, cartografo, chimico, viaggiatore intrepido, esploratore curioso e instancabile. Così tante e varie passioni basterebbero da sole a tracciare una personalità di tutto rispetto, ma manca ancora quella più enigmatica, quellache lo ha reso davvero una presenza indelebile nello scenario scientifico: maestro della pietrificazione dei tessuti organici. 

Girolamo Segato nacque, nel 1792, in una cella della Certosa di Vedana, in provincia di Belluno. Fin da ragazzo dimostrò uno spiccato interesse per la natura e nelle sue frequenti gite in montagna raccoglieva piante, fossili, minerali, insetti e piccoli animali che poi studiava e conservava in una sorta di laboratorio allestito nella casa paterna. Nei primi decenni del 1800 partì più volte per l'Egitto partecipando a spedizioni archeologiche e alla realizzazione di canali. Fu proprio durante queste esplorazioni nei templi degli antichi Faraoni che si imbatté, per la prima volta, nei corpi mummificati di persone e animali e ne rimase talmente affascinato da non riuscire a pensare ad altro. Dopo esser rimasto per sei lunghi giorni fra le cieche cave sepolcrali della piramide di Abuyr, rischiando di lasciarci la pelle, ne uscì completamente trasformato nel corpo e nello spirito. Al suo ritorno in patria, dopo un breve soggiorno a Livorno, si stabilì definitivamente a Firenze dove iniziò la sua febbrile attività di mummificazione tutto preso dal fermare l'inarrestabile processo di decomposizione dapprima solo di rettili, insetti, ratti e uccelli e poi spingendosi sempre più oltre fino a giungere agli esseri umani, complici gli studenti di anatomia che gli passavano qualche reperto avanzato dalle autopsie. Il metodo, segretissimo e mai rivelato ad alcuno, probabilmente appreso da un millenario papiro, funzionava alla perfezione, ma non ebbe mai consensi e fu soprattutto osteggiato dalla Chiesa fedele al motto biblico “polvere sei e polvere ritornerai” che lo ribattezzò con scherno “mago egiziano” per le sue oscure arti eretiche. Nonostante questo triste scenario, Girolamo trovò qualche rara tregua di felicità, soprattutto quando conobbe la poetessa Isabella Rossi alla quale regalò due pesciolini mummificati e un anello che aveva per gemma delle gocce del suo sangue pietrificato, sotto espressa richiesta della donna amata. Famosissimo ormai ovunque e altettanto contrastato, continuò il suo lavoro di ricerca, ma deluso e intristito per i troppi ostacoli disseminati sul suo cammino, non ultimi i gravissimi problemi economici che gli impedivano di continuare a vivere sereno e la paura di essere derubato dei suoi appunti, un giorno decise di bruciare tutti ciò che aveva scritto sulla pietrificazione e appena dieci giorni dopo morì, a soli 44 anni, poverissimo, portando con sé il suo segreto. 



 

La maggior parte dei suoi esperimenti, scampati alla disastrosa alluvione del 1966, sono oggi raccolti nel Museo del Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell’Università degli Studi di Firenze: un busto di donna simile a marmo color avorio, una zaccagna ossia l'integumento capillizio di una giovanetta da cui fluiscono lunghi capelli biondi, una testa di bambina dalla pelle giallastra e incartapecorita ma con lineamenti ancora rinoscibili, un piano da tavolinetto intarsiato composto da 214 pezzi anatomici resi simili a pietre dure che doveva essere un dono per il Granduca che disgustato rifiutò l'omaggi, e un'infinità di braccia, mani, piedi feti, animali e prove di laboratorio d'ogni genere, compresa una bella fetta di salame che conserva ancora il suo colore originale. 





I lavori del Segato sono stati molte volte oggetto di studio approfondito, ma finora nessuno è mai riuscito a risolvere l'inviolato mistero.