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lunedì 30 novembre 2015

A tavola con il Magnifico Lorenzo


Lorenzo de Medici lasciò un segno indelebile nella storia fiorentina, tanto da meritarsi il famoso appellativo di Magnifico con cui viene comunemente ricordato da tutti. A dire il vero, Magnifico era il titolo consueto per designare i Messeri a capo della Repubblica Fiorentina, ma lui straordinario lo era per davvero! Estroverso e brillante, amava la vita in ogni sua sfaccettatura, non ultima la buona cucina di cui apprezzava soprattutto gli accostamenti audaci, tipici dell'arte culinaria rinascimentale. Per scoprire cosa prediligesse il nostro Lorenzo, basta curiosare nei suoi Canti Carnescialeschi e nella Neccia da Barberino dove fa una lunga lista dei suoi cibi preferiti che si potevano trovare nelle osterie fiorentine: schiacciate, migliacci, aringhe, cosce di rana fritte, salsicce, fave arrosto ed anche il formaggio, soprattutto il pecorino di Pienza e il “cacio marzolino”. 

Ma sulla ricca mensa nel palazzo di via Larga le portate erano molto più elaborate e abbondanti, con la carne sempre al primo primo posto insaporita con abbondanti spezie e annaffiata dal buon vino toscano per mantenere alto il morale. La lista delle vivande era sempre molto abbondante e, di solito, comprendeva " un primo servizio di credenza ", ossia degli antipasti, " il servizio di cucina", i primi piatti, "il terzo servizio di credenza", il secondo, ed infine dolci e frutta, “ultimo servizio di credenza".



Memorabile il menù del pranzo di nozze per il suo matrimonio con Clarice Orsini, nel 1469: «erano piattagli cinquanta grandi, che ciascuno faceva due taglieri, e ogni tagliere era fra due col suo tagliatore. Le vivande furono accomodate a nozze più tosto che a conviti splendidissimi; per questo credo che facessi de industria, per dare esempio agli altri e servare quella modestia e mediocrità che si richiede nelle nozze, però che non diè mai più che un arrosto. La mattina prima il morsaletto, poi un lesso, poi un arrosto, poi cialdoni e marzapane e mandorle e pinocchi confetti: poi le confettiere con pinocchiati e zuccata confetta. La sera gelatina, un arrosto, frittellette, cialdoni e mandorle e le confetterie. Il martedì mattina in scambio del lesso, erbolati col zucchero in su taglieri: vini; malvagie, trebbiano, e vermiglio ottimo».





















Ma sembra che Lorenzo fosse non solo un buongustaio, ma anche un bravo cuoco tanto che nel suo "Canto de' Cialdonai" ci insegna addirittura a fare i cialdoni.
"Metti nel vaso acqua e farina, quando hai menato, poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco zucchero: fatto l'intriso, poi col dito assaggia, se ti par buono le forme (i testi) al fuoco poni, scaldale bene e quando l'intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti. Quando ti par è sia fatto abbastanza, apri le forme e cavane è cialdoni e 'l ripiegarli allor facile riesce caldi: e 'n panno bianco li riponi".










E per digerire tutto questo ben di Dio sicuramente il signore di Firenze avrà bevuto l'Acquarosa di Leonardo da Vinci , fedelmente trascritta nel
Codice Atlantico al foglio 482 recto (ex 177 recto-a): acqua, zucchero e limone colati in tela bianca, da servire fresca, toccasana per gli stomachi provati dal troppo mangiare!

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