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martedì 3 novembre 2015

L'antica Compagnia del Paiolo




Giovanfrancesco Rustici, valente scultore e pittore del Rinascimento fiorentino, era un uomo eclettico, dalla creatività vivace e inesauribile che riversava non solo nelle sue opere ma anche nella vita di tutti i giorni. Basti pensare che, nel 1512, insieme ad altri undici artisti e poeti, fra i quali Michelangelo, Leonardo da Vinci, Andrea del Sarto, Botticelli, fondò “La compagnia del Paiolo” il cui intento era di sposare l'arte con il cibo attraverso manicaretti scenografici e altrettanto fantastiche tavole imbandite.
Già la scelta del nome parlerebbe da sola, ma per meglio capire lo spirito che animava l'allegro cenacolo leggiamo le parole che lo storico Giuseppe Conti scrisse nel suo libro “Aneddoti e fatti della Storia Fiorentina”: “ … Alle cene ed ai passatempi ciascuno dei dodici componenti poteva condurre fino a quattro persone; ed ognuno aveva l'obbligo di portarsi una cena di sua invenzione; e se si trovava che due avessero avuto lo stesso pensiero, eran condannati ad una pena a piacere del Signore, che era il capo. Questi raccoglieva tutte le cene portate e le distribuiva a suo talento. Appena costituita la Compagnia del Paiuolo, Giovan Francesco Rustici diede una cena ai compagni; e per giustificarne maggiormente il titolo, fece portare nella stanza un tino, che per mezzo di ferri e staffe attaccò per un gran manico al soffitto; e di fuori lo accomodò benissimo con tele e pitture, che rendevan proprio l'idea di un enorme Paiuolo. 


I compagni appena arrivati sulla soglia rimasero sorpresi ed applaudirono a questa bizzarra trovata; ed entrarono ridendo come matti nel tino, dove tutt'intorno c'erano i sedili e nel mezzo la tavola. Lassù dal soffitto, come attaccata al manico, pendeva una bella lumiera, che illuminava l'interno del paiuolo. Quando furono tutti a posto, la tavola si aprì e comparve un albero con molti rami ai quali erano ingegnosamente appesi due piatti colle pietanze per ciascuno invitato. L'albero spariva quando le prime vivande eran finite, e ricompariva via via con altre. Attorno al paiuolo vi erano i serventi, che mescevano preziosissimi vini...".

Di Andrea del Sarto, in particolare, resta famoso un tempio, ispirato al Battistero di Firenze, “ma posto sopra colonne; il pavimento era un grandissimo piatto di gelatina con spartimenti di varii colori di musaico; le colonne, che parevano di porfido, erano grandi e grossi salsicciotti, le base et i capitegli erano di cacio parmigiano, i cornicioni di paste di zuccheri e la tribuna era di quarti di marzapane, nel mezzo era posto un leggio da coro fatto di vitella fredda con un libro di lasagne che aveva le lettere e le note da cantare di granella di pepe e quelli che cantavano al leggio erano tordi cotti col becco aperto e ritti con certe camiciuole a uso di cotte, fatte di rete di porco sottile, e dietro a questi per contrabasso erano due pippioni grossi, con sei ortolani che facevano il sovrano.”.
Il Vasari, nelle sue “Vite” ci racconta che la Compagnia del Paiolo non ebbe però una gran durata, visto che alla fine del Cinquecento la brigata dei cuochi-artisti si era già sciolta. Passarono più di quattrocento anni apparentemente senza attività ma il paiolo fiorentino, che sembrava ormai vuoto e senza senso, continuò a sobbollire silenziosamente e il 18 febbraio 1950 un'altra cerchia di artisti, tra cui spicca il nome di Arnaldo Miniati, che ricalcava le orme di quell'antica del Rustici, presentò al commissariato di pubblica sicurezza di via Sant’Antonino uno Statuto della Compagnia del Paiolo nuovo di zecca che cominciava così: “La Compagnia del Paiolo che oggi sorge a vita, intende promuovere e alimentare un’atmosfera artistica culturale degna delle tradizioni fiorentine” e concludeva, con il tipico spirito arguto nato sotto al Cupolone:

«Gli artigliati del Paiolo voglion questo e questo solo
che chi ha ingegno lo riveli e chi è bischero si celi».

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