La
Basilica di Santa Croce, oltre ad essere uno straordinario gioiello
dell'arte gotica fiorentina, è nota a tutti per le tombe di artisti,
scienziati e letterati che conserva silenziosamente da secoli, tanto
da meritare dal Foscolo nel
suo carme “De Sepolcri”,
l'appellativo di “Tempio
dell'Itale glorie”. Sul pavimento di tutta la chiesa ci sono ben
276 loculi e tanti altri si trovano lungo le pareti.
Dovunque
l'occhio si posi ecco nomi di personaggi che hanno fatto la storia di
Firenze e non solo: Michelangelo,
Galilei, Machiavelli, Rossini, Alfieri e lo stesso Foscolo, che volle
essere qui ricordato insieme agli “uomini illustri”.
Tra le
innumerevoli lapidi di ogni foggia e preziosità, ce n'è una davvero
singolare che reca uno strano quanto misterioso epitaffio: "Qui
giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato,
se l'arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell'umana
sapienza, esempio d'infelicità non insolito". Ma chi era
quest'uomo, sicuramente non comune se è stato seppellito fra tanti
egregi signori? Naturalista, cartografo, chimico, viaggiatore
intrepido, esploratore curioso e instancabile. Così tante e varie
passioni basterebbero da sole a tracciare una personalità di tutto
rispetto, ma manca ancora quella più enigmatica, quellache lo ha
reso davvero una presenza indelebile nello scenario scientifico:
maestro della pietrificazione dei tessuti organici.
Girolamo Segato
nacque, nel 1792, in una cella della Certosa di Vedana, in provincia
di Belluno. Fin da ragazzo dimostrò uno spiccato interesse per la
natura e nelle sue frequenti gite in montagna raccoglieva piante,
fossili, minerali, insetti e piccoli animali che poi studiava e
conservava in una sorta di laboratorio allestito nella casa paterna.
Nei primi decenni del 1800 partì più volte per l'Egitto
partecipando a spedizioni archeologiche e alla realizzazione di
canali. Fu proprio durante queste esplorazioni nei templi degli
antichi Faraoni che si imbatté, per la prima volta, nei corpi
mummificati di persone e animali e ne rimase talmente affascinato da
non riuscire a pensare ad altro. Dopo esser rimasto per sei lunghi
giorni fra le cieche cave sepolcrali della piramide di Abuyr,
rischiando di lasciarci la pelle, ne uscì completamente trasformato
nel corpo e nello spirito. Al suo ritorno in patria, dopo un breve
soggiorno a Livorno, si stabilì definitivamente a Firenze dove
iniziò la sua febbrile attività di mummificazione tutto preso dal
fermare l'inarrestabile processo di decomposizione dapprima solo di
rettili, insetti, ratti e uccelli e poi spingendosi sempre più oltre
fino a giungere agli esseri umani, complici gli studenti di anatomia
che gli passavano qualche reperto avanzato dalle autopsie. Il metodo,
segretissimo e mai rivelato ad alcuno, probabilmente appreso da un
millenario papiro, funzionava alla perfezione, ma non ebbe mai
consensi e fu soprattutto osteggiato dalla Chiesa fedele al motto
biblico “polvere sei e polvere ritornerai” che lo ribattezzò con
scherno “mago egiziano” per le sue oscure arti eretiche.
Nonostante questo triste scenario, Girolamo trovò qualche rara
tregua di felicità, soprattutto quando conobbe la poetessa Isabella
Rossi alla quale regalò due pesciolini mummificati e un anello che
aveva per gemma delle gocce del suo sangue pietrificato, sotto
espressa richiesta della donna amata. Famosissimo ormai ovunque e
altettanto contrastato, continuò il suo lavoro di ricerca, ma deluso
e intristito per i troppi ostacoli disseminati sul suo cammino, non
ultimi i gravissimi problemi economici che gli impedivano di
continuare a vivere sereno e la paura di essere derubato dei suoi
appunti, un giorno decise di bruciare tutti ciò che aveva scritto
sulla pietrificazione e appena dieci giorni dopo morì, a soli 44
anni, poverissimo, portando con sé il suo segreto.
La maggior parte
dei suoi esperimenti, scampati alla disastrosa alluvione del 1966,
sono oggi raccolti nel Museo del Dipartimento di Anatomia, Istologia
e Medicina Legale dell’Università degli Studi di Firenze: un busto
di donna simile a marmo color avorio, una zaccagna ossia
l'integumento capillizio di una giovanetta da cui fluiscono lunghi
capelli biondi, una testa di bambina dalla pelle giallastra e
incartapecorita ma con lineamenti ancora rinoscibili, un piano da
tavolinetto intarsiato composto da 214 pezzi anatomici resi simili a
pietre dure che doveva essere un dono per il Granduca che disgustato
rifiutò l'omaggi, e un'infinità di braccia, mani, piedi feti,
animali e prove di laboratorio d'ogni genere, compresa una bella
fetta di salame che conserva ancora il suo colore originale.
I lavori
del Segato sono stati molte volte oggetto di studio approfondito, ma
finora nessuno è mai riuscito a risolvere l'inviolato mistero.