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giovedì 31 dicembre 2015

Ginevra, la sposa fantasma





Nei tempi antichi, quando c'erano delle imprese da raccontare, strane, romantiche o pietose che fossero, le si mettevano in versi e si dava poi il compito ai cantastorie e ai giullari di farle entrare nell'animo della gente. Miti, narrazioni e leggende passavano così di bocca in bocca e diventavano parte della cultura popolare, spesso fondendo immaginazione e realtà per ammantare la vicenda di un alone più affascinante. Chiacchiere di dame e di garzoni, scherzi, avventure di gentiluomini e artisti, tutto diventava fertile materiale per favole e poemi, come le novelle del Boccaccio e del Sacchetti che affondano le radici su fatti realmente accaduti, abilmente poi riaggiustati per renderli più appassionanti. Una delle vicende amorose che ha varcato i confini del tempo è, senza dubbio, quella di Ginevra degli Amieri. Firenze, anno del Signore 1396. La peste era arrivata in città molti anni prima, ma ancora non si contavano le vittime che la Morte Nera continuava a falciare inesorabilmente.



 Fra le poche casate rimaste fatalmente in piedi, spiccava quella degli Amieri che aveva perso quasi tutti i suoi discendenti tranne il capostipite Bernardo e sua figlia Ginevra. La bella diciottenne, colta e intelligente, piaceva a quasi tutti i giovanotti fiorentini, ma il padre, senza chiedere il suo parere, l'aveva promessa in sposa a Francesco Agolanti,  ricco rampollo di una famiglia di commercianti.
Inutile dire, come nel miglior romanzo passionale, che la ragazza era segretamente innamorata di un altro e, per complicare le cose, il giovane, tale Antonio Rondinelli, era anche popolano e di non alto lignaggio. Ma questo matrimonio s'avea da fare e si fece. Dopo la cerimonia, con ancora l'abito bianco addosso, Ginevra ebbe un collasso e fu creduta morta. Tristemente, ma anche velocemente per il sospetto che fosse stata uccisa dalla peste, fu trasportata con il cataletto in una cripta vicino a Santa Reparata.

Durante la notte, Ginevra si svegliò dal profondo sonno e si accorse, con orrore, di essere attorniata da scheletri e cadaveri putrescenti. Con la forza della disperazione, riuscì a smuovere la pesante lastra di marmo che chiudeva l'avello e a uscire all'aperto. Non si sa come, si trascinò dapprima al palazzo del marito e poi alla casa di suo padre, chiedendo aiuto, ma tutti e due gli chiusero porte e finestre in faccia credendola una spettro in cerca di vendetta. Quasi svenuta, bussò allora al portone del Rondinelli che subito la riconobbe e, con infinite cure, le ridette salute e serenità. La notizia che Ginevra era ritornata in vita si sparse presto per tutta la città e Francesco Agolanti si diede da fare per riprendersi la moglie “resuscitata”, denunciandola addirittura al Tribunale Ecclesiastico. Convocata dal Vicario del Vescovo, Ginevra raccontò per filo e per segno la sua incredibile vicenda e anche grazie alle tante testimonianze in suo favore, fu ritenuta innocente e liberata dal vincolo che la legava al marito. Potè così finalmente congiungersi ad Antonio che mai aveva smesso d'amarla e, come cantò un ignoto rimatore, ”vissono gran tempo in festa e 'n gloria, al vostro onore è finita l'istoria”.
Ora, veniamo a noi: sarà tutto vero o è pura fantasia? Molti scrittori del passato si sono messi ad analizzare il poema punto per punto, riuscendo perfino ad individuare il vicoletto da dove era passato il corteo funebre, al fianco della Misericordia: ora si chiama via del Campanile, ma sembra che il nome primitivo fosse via della Morta, in ricordo del triste trasporto del corpo di Ginevra verso la tomba. E ancora, qualcuno aveva rintracciato la lapide non murata vicina al Duomo che per molti secoli recava le iniziali G.A., poi cancellate dal viavai della gente e dai restauri del lastricato che si sono succeduti negli anni.
Luogo dove presumibilmente era la tomba di Ginevra


Il solito avvocato del diavolo mette, però, tutto in discussione soprattutto soffermandosi sulla facilità con cui la Curia Arcivescovile avrebbe reso nullo il primo matrimonio e autorizzato tranquillamente il secondo, come nulla fosse, specialmente in un'epoca in cui per chiudere una storia si ricorreva più facilmente all'uxoricidio che alla Chiesa...

Comunque sia andata, in questo mondo così sterile di sentimenti, è bello credere ad una storia d'amore che è riuscita a sconfiggere persino la morte e ad arrivare immutata fino a noi, nonostante l'incedere del tempo.

lunedì 21 dicembre 2015

I segreti di Venere





Quando nell'Ottocento le esplorazioni archeologiche si intensificarono per ricercare testimonianze del mondo ellenistico, non furono poche le sorprese che stupirono gli studiosi. Quasi tutte le statue avevano, nascoste dalle pieghe degli abiti e dai lineamenti dei volti, tracce del colore che aveva abbellito le labbra e le guance, esaltata la trama delle vesti, acceso di vita gli occhi e fatti risplendere i capelli. La scoperta fu travolgente e sensazionale, ma non tutti l'accolsero favorevolmente perché, fino ad allora, il mito della Grecia classica si era sempre incarnato nell'aspetto candido e levigato di sculture e bassorilievi ed era difficile digerire una notizia così rivoluzionaria. Ma i fatti parlavano chiaro e non si potevano certo ignorare, anche se i fedelissimi al “bianco assoluto” fecero di tutto per non cedere alle nuove rivelazioni, arrivando persino a suggerire di ricolorare le statue con una bella verniciata purificatrice. 

La Venere pudica degli Uffizi


Anche la Venere dei Medici del I secolo avanti Cristo, regina incontrastata degli Uffizi, non era pallida come appare adesso: Nel 2012, grazie ai finanziamenti della fondazione non-profit Friends of Florence, un accurato restauro ha messo in luce il vero aspetto della splendida statua, simbolo della bellezza antica nel periodo neoclassico, definita dal critico d'arte inglese John Ruskin “una delle più pure ed elevate incarnazioni della donna mai concepite”.


La bocca rossa, la chioma solcata d'oro fino, i fori ai lobi delle orecchie per adornarla con preziosi monili la facevano assomigliare ad una vera donna, altro che l'elegante ma fredda immagine che vediamo oggi! I turisti del Settecento la ricordavano, nei loro diari di viaggio, con ancora i capelli leggermente indorati, un'altra viva testimonianza che la bella dea era nata ben diversa da com'era poi diventata. Ma, a causa delle tante vicende collezionistiche che l'hanno vista protagonista, non ultimo il ratto da parte di Napoleone, e in seguito a delle vistose lisciature del marmo, il colore si è definitivamente spento e solo oggi, con strumenti d'indagine sempre più avanzati, si è potuto capire come appariva in tutta la sua brillante solarità. Dove non arriva l'occhio, entra in campo la scienza che riesce a rivelare segreti preziosi per restituirci ogni opera così come era uscita dalle mani dei grandi artisti.



Prove di colore su calchi in gesso

Prove di colore su calchi in gesso
Prove di colore su calchi in gesso






mercoledì 9 dicembre 2015

Battaglia navale? Non direi proprio!

Il “bel San Giovanni di Dante” è una delle chiese più antiche di Firenze. La data della costruzione non è certa, ma si ritiene attendibile che sia iniziata nel 1059, quando il Battistero fu consacrato da papa Nicola II, nel momento in cui fu posta la prima pietra. Nell'anno 1150, come ci racconta il Villani nella sua “Nuova Cronica”, fu collocata la lanterna e nel 1202 fu aggiunta l'abside rettangolare, che nel linguaggio popolare venne chiamata “scarsella” perché ricordava vagamente la forma della borsa di cuoio che i signori medievali si allacciavano alla cintura.

A lato della tribuna, perfettamente incastonato fra i pregevoli marmi bianchi di Carrara e quelli verdi di Prato, appare un bassorilievo assai difficile da decifrare perché consumato dal logorio dei secoli. I fiorentini lo conoscono come “La battaglia navale”, forse perché già anticamente veniva chiamato così, almeno dal 1700, periodo in cui il Richa scrisse nelle “Notizie Istoriche delle Chiese Fiorentine” di: “ … un basso rilievo in marmo lungo due braccia rappresentante un combattimento navale...”. Si tratta, quasi certamente, di un sarcofago d'epoca paleocristiana rinvenuto nella zona, visto che alla fine dell'Ottocento, scavando sotto al Battistero, vennero alla luce i resti di alcune domus romane con splendidi pavimenti a mosaico che in un primo momento furono scambiate per impianti termali.



Esaminando con cura quel resta del pregevole fregio, costituito da due pezzi riassemblati insieme, si ha una sorpresa che rovescia completamente la convinzione che si tratti di un combattimento in mare aperto. All'interno di una guarnizione ondulata si levano alcune figure, purtroppo molto sciupate, che animano due diverse scene: nella destra , un contadino porta l'uva ai vendemmiatori che la pestano in una conca bassa e allungata, mentre più a sinistra alcuni garzoni sono intenti a caricare e scaricare dei sacchi verso un'imbarcazione di foggia romana, quella che aveva dato adito all'errata comprensione dell'opera. La lettura più verosimile, allora, sembra essere quella legata all'attività svolta dal defunto a cui era destinato il sepolcro, presumibilmente un mercante che si era arricchito con il commercio del vino e che voleva essere ricordato per il suo lavoro operoso. Ma resta sempre da chiarire il perché il sarcofago sia stato inserito nell'architettura del Battistero. Attraverso un'analisi iconografica dei componenti del bassorilievo, forse, se ne può capire la ragione: il vino, frutto della terra e del lavoro dell'uomo, è il simbolo cattolico del sangue di Cristo, mentre la barca è il traghetto che permette alle anime, liberate dal corpo, di raggiungere il Paradiso passando dalla riva dei viventi a quella dei morti. Perciò, la composizione, sia pur formata da parti frammentarie, si unisce, non solo stilisticamente, ma anche idealmente al Battistero, creando una sublime armonia di sacralità. Ho tentato, con non poche difficoltà e scarso successo, di riprodurre in un disegno l'aspetto che doveva avere il bassorilievo originale: si possono notare più distintamente tutti i personaggi e i loro movimenti, sgombrando così una volta per tutte ogni possibile attinenza con la famosa battaglia navale con cui è stato ingiustamente battezzato per troppo tempo!


Riproduzione, a matita, dello schema originale del bassorilievo