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lunedì 18 gennaio 2016

Il lunerdì dei barbieri





Un tempo i barbieri stavano aperti anche la domenica mattina e riposavano tutto il lunedì per riprendersi dalla fatica di una settimana di tagli, saponate e chiacchiere amene. Niente di strano, direte voi, sarà un contratto nazionale che regola l'orario del negozio! Ma se la ragione fosse un'altra, misteriosa e oscura, che si perde nei secoli passati?



Viveva a Firenze, verso la metà del XVIII secolo, una bella ragazza che era venuta da Napoli per fare la cameriera ma, non trovando dove andare a servizio, si era messa a fare la prostituta. La giovane Mariuccia viveva in una stanzetta ammobiliata in via san Cristofano, vicino a santa Croce, che fungeva da casa e da agenzia. Un pomeriggio fu trovata morta, ma in tali condizioni che anche le guardie arretrarono inorridite: era stata sgozzata con un taglio netto al collo e l'emorragia l'aveva uccisa proprio mentre stava per raggiungere la finestra e chiedere aiuto. Anche se l'omicidio era stato compiuto in pieno giorno, nessuno aveva visto né sentito nulla, probabilmente anche perché l'assassino era un cliente abituale, tale da non destare alcun sospetto nei vicini. La polizia mise al vaglio tutti gli uomini che frequentavano Mariuccia, ma non si arrivava mai al bandolo dell'intricata matassa, finché, per caso, fu ritrovata una sottanella di tulle che era solita indossare durante i suoi appuntamenti amorosi. La gonna era stata venduta ad un mercante ebreo da un tale Antonio di Vittorio Giani, barbiere in via Romana, con la bottega vicina al portone dell'antico convento di Annalena. Finalmente il cerchio si era stretto sul delinquente che aveva compiuto un misfatto così atroce e, dopo aver confessato di aver ucciso la ragazza per gelosia, Antonio fu giustiziato fuori porta La Croce. Era l'11 giugno 1742, lunedì mattina e tutti i barbieri di Firenze, scossi dalla notizia, chiusero bottega per assistere all'impiccagione del loro collega. 


Da allora, ogni lunedì, i barbieri non lavorarono più...

martedì 5 gennaio 2016

La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte...



Fino alla metà dell'Ottocento, l'Epifania era una delle festività più amate dai fiorentini. La sera della viglia c'era l'uso di portare a spasso per la città dei burattini di legno che rappresentavano i Re Magi o la Befana seguiti da una folla rumorosa ed esultante che faceva una confusione indicibile. I ragazzi suonavano delle trombette di vetro che si usavano solo per quell'occasione, la gente, portando delle torce che illuminavano i vicoli a giorno, rideva, correva e faceva scherzi ai poveri campagnoli venuti apposta per godersi la sfilata degli allegri buontemponi. Quando le brigate si incrociavano per le strade del centro, si mettevano a disputare su chi avesse il fantoccio più bello e si arrivava persino a darsele di santa ragione, passando dal gioco alla rissa in meno di un minuto. E chi non poteva partecipare al corteo, fabbricava delle vecchiacce brutte da far paura da mettere nel vano della finestra illuminata per spaventare i passanti. Tutti facevano a gara per rendere il proprio pupazzo più simile al vero, tanto che lo scrittore Giovan Battista Fagiuoli, nel 1724, racconta di un manichino che “ aveva nel collo una molla a cui era legato uno spago nascosto dalle vesti, e che tirandolo faceva fare alla befana un grazioso saluto del capo a chi dalla strada stava rivolto verso di lei per guardarla”.

Non c'era parrocchia in cui non si cantasse il Vespro solenne e la chiesa si riempiva di un numero indicibile di fedeli che si portavano dietro bottiglie, bicchieri e ogni sorta di recipiente per prendere l'acqua santa che veniva benedetta alla fine della cerimonia. Poi, dopo tanto clamore, arrivava la notte e spegneva fiaccole, animi accesi e rumori.



La debole luce mattutina rischiarava i camini a cui erano state appese delle calze ripiene di frutta secca, qualche dolcino, il carbone per i bambini birboni e per i più benestanti anche il desiderato balocco. E in quella serena semplicità si godeva del poco che si era racimolato, dividendo il gruzzolo con i bambini più poveri che non avevano ricevuto la calzina della Befana. Erano altri tempi che niente hanno a che fare con la vita frettolosa di oggi, sicuramente più ricca di allora, ma completamente priva di quello spirito innocente con cui si riusciva ad essere felici con nulla.