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domenica 25 ottobre 2015

Il corridoio segreto delle Oblate

Monna Tessa nacque a Firenze intorno al 1250 da una famiglia di umili origini e fin da giovane, nonostante si fosse maritata con un tale Tute di professione bastaio, andò a lavorare come governante per i Portinari, ricca famiglia di mercanti fiorentini da cui sbocciò la candida Beatrice, vaghissima fanciulla amata da Dante. Affascinata dalla spiritualità di San Francesco, suo contemporaneo, si dedicò anima e corpo alla cura dei malati e dei poveri tanto che riuscì a smuovere persino il cuore del suo padrone, Folco che nel 1285 donò una somma notevole per fondare l'Ospedale di Santa Maria Nuova, inaugurato solennemente nel 1288. Intorno alla pia figura di Tessa si strinsero ben presto altre donne, tutte appartenenti alla nobiltà fiorentina, che animate dai suoi stessi valori decisero di dedicare la loro vita a Cristo nel servizio dei bisognosi e presero il nome di Oblate, dal latino “oblatum” che significa appunto totale offerta di sé.


Il loro servizio all'interno dell'Ospedale obbediva ad un “Regolamento” , redatto definitivamente nel 1301, nel quale erano stabilite tutte le loro mansioni: pulizie delle camere, rammendo e cucito della biancheria dei malati, assistenza infermieristica e preparazione delle vivande in base alle malattie dei ricoverati. All'epoca della peste del 1348 lo Spedale contava già due padiglioni, uno maschile vicino a Sant'Egidio e uno femminile su via delle Pappe, ora via Portinari, nome curioso che alludeva alle minestrine somministrate sia agli infermi che ai poveri che si assiepavano numerosi con la loro ciotola di legno ad aspettare gli avanzi delle corsie.



Le Oblate non erano suore e non avevano quindi obbedienza a nessun voto, almeno fino al 1952 quando la Santa Sede le riconoscerà ufficialmente come Congregazione, ma vivevano in clausura, in clima di totale austerità. Il 29 dicembre 1625, a salvaguardia della loro vita riservata, venne addirittura inaugurato un passaggio sotterraneo che univa l'ospedale al convento, ancora oggi segnalato dalle griglie d'ottone e marmo bianco visibili sul selciato della piazza che davano luce al “corridore”.


Un'antica carta del 1700 riporta minuziosamente la via segreta delle Oblate: da una porta sul cortile dell'ospedale con il monumento al conte Galli Tassi si entra in una prima stanzetta oscura da cui inizia una scala di pietra che, scendendo, si ferma davanti ad una vecchia porta sulla quale troneggia un dipinto gravemente compromesso ma che, sicuramente, doveva essere a carattere religioso. Basta varcare la soglia e la galleria appare: alta più di tre metri, con la pavimentazione in mattoni consunti e le mura ammuffite e scrostate dal passare dei secoli. Unico conforto in tanto triste grigiore, è la luce flebile che filtra dalle griglie sul soffitto. Ad un tratto il tunnel si piega ad angolo retto e prosegue per un lungo tratto, ma, improvvisamente, muore in un muro che chiude il passaggio al vecchio convento. Sembra tutto finito eppure, nel silenzio e nell'oscurità, resta ancora l'eco dell'umile andirivieni delle pie donne di Santa Maria Nuova che hanno donato il loro cuore e le loro operose mani senza mai risparmiarsi.

lunedì 19 ottobre 2015

Una passeggiata alle Cascine del Riccio

Quando a Firenze si parla delle Cascine non importa dare tante spiegazioni perché tutti conoscono cosa sono e dove si trovano. Ma se alla parole “cascine” si aggiunge “del riccio” ecco che più di un fiorentino non sa di cosa si stia parlando.




Le Cascine del Riccio è un borgo antichissimo che si trova al crocevia di tre comuni, Firenze, Impruneta e Bagno a Ripoli, ai piedi delle Cave di Monteripaldi attive già dal 1330. 

Le prime notizie storiche dell'abitato risalgono al 1312 quando Enrico VII di Lussemburgo, nel tentativo di aiutare i Bianchi, cinse d'assedio Firenze, accampandosi sul torrente Ema che getta le sue acque nel più ben noto fiume Greve. Fu proprio a quell'epoca che la ricca e potente famiglia Bardi, proprietaria di una lussuosa villa in via delle Cinque Vie e patrona di Monteripaldi, dette asilo ad un gruppo di popolani sfollati, proteggendoli durante l'invasione delle truppe imperiali. Qualche anno dopo, ai Bardi, subentrarono i Ricci, originari di Prato, che possedevano diverse cascine per la produzione del latte nella zona di Pozzolatico di cui a testimonianza ancora resta, in via San Michele a Monteripaldi, un elegante palazzo dalla facciata cinquecentesca nato intorno ad una possente torre medievale che domina la valle.





Un documento risalente al 1363 riporta che erano più di dodici le famiglie residenti nella zona per un totale di una quarantina di persone, tutti dediti al lavoro dei campi. Ma Il vero e proprio borgo detto "del Riccio" nacque dagli scalpellini delle cave di Monteripaldi che costruirono le loro case sulla sponda destra dell'Ema intorno ad un ponte medievale ad arcate battezzato "Iozzi" a causa degli orci (osoli) imprunetani che venivano trasportati verso Firenze proprio attraverso quell'antico passaggio. 



La cava, che forniva preziosa pietraforte per la lastricatura delle strade fiorentine e la costruzione dei più bei palazzi e chiese della città, fra cui il Bargello, Santa Croce e Santa Maria Novella, venne chiusa nell'Ottocento e gran parte di coloro che vi lavoravano dovette trovarsi una nuova occupazione, tornando a fare il contadino nei poderi o improvvisandosi lavandaio, in concorrenza con la vicina Grassina, "paese delle lavandaie", che aveva l'onore di ricevere i capi più fini e preziosi dalle famiglie nobili e benestanti di Firenze. Durante la Seconda Guerra Mondiale il ponte Iozzi fu fatto saltare in aria dai Tedeschi in ritirata, ma subito le forze alleate lo ricostruirono in poche ore con un'energia incredibile, anche se oggi è stato sostituito da una struttura in cemento armato che niente ha a che fare con quello medievale.


Anche se gli iozzi dei catinai non ci passano più, il nome non è mai mutato nel tempo e ha battezzato anche un tratto della breve strada che si dipana sul confine dell'Impruneta.

mercoledì 7 ottobre 2015

Un matrimonio da favola


Oggi va di gran moda avere il proprio “wedding planner” che pensi ad organizzare il matrimonio in ogni minimo dettaglio, ma già nei tempi antichi nobili e aristocratici  ponevano i loro desideri nelle mani esperte di un maestro di casa che aveva l'arduo compito di non lasciare nulla al caso. Una delle feste nuziali più sontuose e fantastiche del passato fu senza dubbio quella  di Maria de' Medici, figlia di Francesco I e di Giovanna d'Austria e nipote del granduca Ferdinando I, con Enrico IV re di Francia. Palazzo Vecchio 5 ottobre 1600 :  va in scena  uno spettacolo indimenticabile con la regia del grande Bernardo Buontalenti che, come sempre, non sbagliava mai un colpo. La cronaca della serata venne invece affidata a Michelangelo Buonarroti il Giovane che stilò secondo l'uso, una  puntuale “Descrizione”  che ci fa rivivere, passo per passo, tutta la spettacolare atmosfera della serata. Nella sala, rischiarata da “infiniti lumi” , un'enorme credenza rivestita di metallo prezioso a forma di giglio di Jacopo Ligozzi per presentare ben duemila pezzi del tesoro mediceo e la tavola degli sposi adorna di così tante prelibatezze e meraviglie da far rimanere a bocca aperta anche il più esigente degli invitati. 



Sulla candida tovaglia di lino finissimo ecco apparire una grandiosa scultura fatta di tovaglioli inamidati, piegati a spina di pesce, con due querce dai rami fronzuti ricoperti di foglie bianche e ghiande d'argento e il tronco fasciato d'edera di tela increspata. E ai piedi degli alberi, scene di caccia con orsi, cervi, cinghiali e perfino un elefante e un rinoceronte.


Poi un corteo di statue mitologiche, forze d’Ercole, uccisioni di leoni e di tori, eroi, mostri, dee, architetture d'ogni genere ed anche Enrico IV a cavallo di zucchero “sodo” cesellate da artisti del calibro di Giambologna, Ligozzi e Cigoli. Per l'occasione, erano stati realizzati anche braccialetti, spille e collane di pasta zuccherina per le trecento dame invitate al matrimonio che forse, alla fine della cena, avranno fatto le veci del dolce! A far da cornice a questa meraviglia, doppi cori, balli, suoni e un Dialogo cantato da Giunone e Minerva con musica di Emilio de' Cavalieri, purtroppo perduta,  su versi di Giovan Battista Guarini.




Ma vogliamo parlare del menù? Un centinaio di portate più o meno elaborate studiate dai cuochi reali e presentate da centinaia di paggi:


24 piatti di freddo: ...Insalate lavorate in bacini... Fragole... Castelli fatti di salame...Fortezze piene d'uccelleti vivi … Prosciutto sfilato a foggia di un gallo... 
Primo servito freddo: ...Fagiani a lanterna... Bianco magnare in fette, Torta verde alla milanese...
Secondo servito caldo: ...Pasticcio a triangoli di carne battuta... Porchette ripiene... Crostata di vitella, Pasticcio ovato d’oglia potrida, Stame o coturnice alla franzese... Paste fatte con le arme del Re e della Regina... 
Di cucina per dare credenza con il freddo: ...Torta di bocca di dama... Ciambellette... Latte mele in bacini, Pere cotogne in gelo, Crostata di cedro..
Formaggi e frutta: ...Marzolino, Ravaggiuoli, Cialdoni, Pesche in vino, Pere, Uve... Carciofi, Sedani...




Chissà come avranno poi fatto gli invitati a tornare, il giorno dopo,  ad assistere all'Euridice a Palazzo Pitti...



Dal 10 marzo al 7 giugno 2015, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, con il patrocinio di Expo Milano 2015, ha ospitato Dolci trionfi e finissime piegature, una mostra  sulla riproduzione di alcune di quelle memoriali sculture in zucchero, oggi dovute alla sapiente manualità della Fonderia a Strada in Chianti  e sui tovaglioli usati per l’apparecchiatura del banchetto,  realizzate dal maestro Joan Sallas, studiando rigorosamente  i rari documenti dell'Archivio di Stato di Firenze.