Monna Tessa nacque a Firenze intorno al
1250 da una famiglia di umili origini e fin da giovane, nonostante si
fosse maritata con un tale Tute di professione bastaio, andò a
lavorare come governante per i Portinari, ricca famiglia di mercanti
fiorentini da cui sbocciò la candida Beatrice, vaghissima fanciulla
amata da Dante. Affascinata dalla spiritualità di San Francesco, suo
contemporaneo, si dedicò anima e corpo alla cura dei malati e dei
poveri tanto che riuscì a smuovere persino il cuore del suo padrone,
Folco che nel 1285 donò una somma notevole per fondare l'Ospedale di
Santa Maria Nuova, inaugurato solennemente nel 1288. Intorno alla pia
figura di Tessa si strinsero ben presto altre donne, tutte
appartenenti alla nobiltà fiorentina, che animate dai suoi stessi
valori decisero di dedicare la loro vita a Cristo nel servizio dei
bisognosi e presero il nome di Oblate, dal latino “oblatum”
che significa appunto totale offerta di sé.
Il loro servizio all'interno
dell'Ospedale obbediva ad un “Regolamento” , redatto
definitivamente nel 1301, nel quale erano stabilite tutte le loro
mansioni: pulizie delle camere, rammendo e cucito della biancheria
dei malati, assistenza infermieristica e preparazione delle vivande
in base alle malattie dei ricoverati. All'epoca della peste del 1348
lo Spedale contava già due padiglioni, uno maschile vicino a
Sant'Egidio e uno femminile su via delle Pappe, ora via Portinari,
nome curioso che alludeva alle minestrine somministrate sia agli
infermi che ai poveri che si assiepavano numerosi con la loro ciotola
di legno ad aspettare gli avanzi delle corsie.
Le Oblate non erano suore e non avevano
quindi obbedienza a nessun voto, almeno fino al 1952 quando la Santa
Sede le riconoscerà ufficialmente come Congregazione, ma vivevano in
clausura, in clima di totale austerità. Il 29 dicembre 1625, a
salvaguardia della loro vita riservata, venne addirittura inaugurato
un passaggio sotterraneo che univa l'ospedale al convento, ancora
oggi segnalato dalle griglie d'ottone e marmo bianco visibili sul
selciato della piazza che davano luce al “corridore”.
Un'antica carta del 1700 riporta
minuziosamente la via segreta delle Oblate: da una porta sul cortile
dell'ospedale con il monumento al conte Galli Tassi si entra in una
prima stanzetta oscura da cui inizia una scala di pietra che,
scendendo, si ferma davanti ad una vecchia porta sulla quale
troneggia un dipinto gravemente compromesso ma che, sicuramente,
doveva essere a carattere religioso. Basta varcare
la soglia e la galleria appare: alta più di tre metri, con la
pavimentazione in mattoni consunti e le mura ammuffite e scrostate
dal passare dei secoli. Unico conforto in tanto triste grigiore, è
la luce flebile che filtra dalle griglie sul soffitto. Ad un tratto
il tunnel si piega ad angolo retto e prosegue per un lungo tratto,
ma, improvvisamente, muore in un muro che chiude il passaggio al
vecchio convento. Sembra tutto finito eppure, nel silenzio e
nell'oscurità, resta ancora l'eco dell'umile andirivieni delle pie
donne di Santa Maria Nuova che hanno donato il loro cuore e le loro
operose mani senza mai risparmiarsi.