Lorenzo de
Medici lasciò un segno indelebile nella storia fiorentina, tanto da
meritarsi il famoso appellativo di Magnifico con cui viene
comunemente ricordato da tutti. A dire il vero, Magnifico era il
titolo consueto per designare i Messeri a capo della Repubblica
Fiorentina, ma lui straordinario lo era per davvero! Estroverso e
brillante, amava la vita in ogni sua sfaccettatura, non ultima la
buona cucina di cui apprezzava soprattutto gli accostamenti audaci,
tipici dell'arte culinaria rinascimentale. Per scoprire cosa
prediligesse il nostro Lorenzo, basta curiosare nei suoi Canti
Carnescialeschi e nella Neccia da Barberino dove fa una lunga lista
dei suoi cibi preferiti che si potevano trovare nelle osterie
fiorentine: schiacciate, migliacci, aringhe, cosce di rana fritte,
salsicce, fave arrosto ed anche il formaggio, soprattutto il pecorino
di Pienza e il “cacio marzolino”.
Ma sulla ricca mensa nel
palazzo di via Larga le portate erano molto più elaborate e
abbondanti, con la carne sempre al primo primo posto insaporita con
abbondanti spezie e annaffiata dal buon vino toscano per mantenere
alto il morale. La lista delle vivande era sempre molto
abbondante e, di solito, comprendeva "
un primo servizio di
credenza ", ossia
degli antipasti, " il
servizio di cucina",
i primi piatti, "il
terzo servizio di credenza",
il secondo, ed infine dolci e frutta, “ultimo servizio di
credenza".
Memorabile il menù del pranzo di
nozze per il suo matrimonio con Clarice Orsini, nel 1469: «erano
piattagli cinquanta grandi, che ciascuno faceva due taglieri, e ogni
tagliere era fra due col suo tagliatore. Le vivande furono accomodate
a nozze più tosto che a conviti splendidissimi; per questo credo che
facessi de industria, per dare esempio agli altri e servare quella
modestia e mediocrità che si richiede nelle nozze, però che non diè
mai più che un arrosto. La mattina prima il morsaletto, poi un
lesso, poi un arrosto, poi cialdoni e marzapane e mandorle e pinocchi
confetti: poi le confettiere con pinocchiati e zuccata confetta. La
sera gelatina, un arrosto, frittellette, cialdoni e mandorle e le
confetterie. Il martedì mattina in scambio del lesso, erbolati col
zucchero in su taglieri: vini; malvagie, trebbiano, e vermiglio
ottimo».
Ma sembra che Lorenzo fosse non solo un
buongustaio, ma anche un bravo cuoco tanto
che nel suo "Canto de' Cialdonai" ci insegna addirittura a
fare i cialdoni.
"Metti nel vaso acqua e farina, quando hai menato, poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco zucchero: fatto l'intriso, poi col dito assaggia, se ti par buono le forme (i testi) al fuoco poni, scaldale bene e quando l'intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti. Quando ti par è sia fatto abbastanza, apri le forme e cavane è cialdoni e 'l ripiegarli allor facile riesce caldi: e 'n panno bianco li riponi".
"Metti nel vaso acqua e farina, quando hai menato, poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco zucchero: fatto l'intriso, poi col dito assaggia, se ti par buono le forme (i testi) al fuoco poni, scaldale bene e quando l'intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti. Quando ti par è sia fatto abbastanza, apri le forme e cavane è cialdoni e 'l ripiegarli allor facile riesce caldi: e 'n panno bianco li riponi".
E per digerire
tutto questo ben di Dio sicuramente il signore di Firenze avrà
bevuto l'Acquarosa di Leonardo da Vinci , fedelmente trascritta nel
Codice Atlantico al foglio 482 recto (ex 177 recto-a): acqua,
zucchero e limone colati in tela bianca, da servire fresca, toccasana
per gli stomachi provati dal troppo mangiare!
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