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mercoledì 28 agosto 2013

Quel gran cuoco di Leonardo



Che Leonardo fosse un genio poliedrico non ci sono dubbi, ma che si interessasse anche di cucina non me l'aspettavo proprio! Eppure le sue "annotazioni gastronomiche" che ci arrivano dal Codex Romanoff, ritrovato in Russia nel 1865 fra i tesori degli Zar, parlano chiaro. A dire il vero c'è chi sostiene che siano una "bufala" e che a scriverli non sia stato lui, o almeno non totalmente, ma da Leonardo c'è da aspettarsi veramente di tutto, visto che, tra l'altro, il cuoco l'ha fatto per davvero! A vent'anni entrò come apprendista nella bottega del Verrocchio ma, dato che la paga lasciava molto a desiderare, decise di raggranellare qualche altro soldo facendo il cameriere nella Taverna delle Tre Lumache, vicina al Ponte Vecchio. Il ragazzo, si vede, ci sapeva fare tant'è che il proprietario, dopo la misteriosa morte di tutti i suoi cuochi per avvelenamento, lo promosse in cucina. Rigoroso e innovativo, Leonardo si mise "a civilizzare" i piatti, riducendo le porzioni esagerate e presentando i cibi con raziocinio ed eleganza. Naturalmente i cambiamenti non piacquero agli avventori, abituati a rimpinzarsi con enormità di pietanze e il giovane cuciniere dovette darsela a gambe per non essere linciato! Ma si rifece aprendo una locanda con l'amico pittore Sandro Botticelli, battezzandola Taverna delle Tre Rane, che però ebbe poco successo: saranno stati i piattini da nouvelle cousine oppure i menu scritti da sinistra verso destra, però la gente non ci andava e fu chiusa quasi sul nascere. Leonardo, stanco e deluso, non trovando più lavoro come cameriere - chissà perché?! - se ne andò alla corte di Ludovico il Moro come tuttofare, dopo aver scritto una lettera di autopresentazione che suonava così:


Io non ho rivali nel costruire ponti, fortificazioni e catapulte; e anche altri segreti arnesi che non ardisco descrivere su questa pagina. La mia pittura e la mia scultura reggono il confronto con quelle di qualunque altro artista. Eccello nel formulare indovinelli e nell'inventare nodi. E faccio delle torte che non hanno uguali.

Fu proprio a Milano che Leonardo dette il meglio di sè: inventò i più miracolosi aggeggi da cucina come il cavatappi, il trita aglio e l'affettatrice. A tavola, per evitare la disgustosa abitudine di pulirsi la bocca alla tovaglia, creò dei pezzetti di tela, uno per commensale, antesignani dell'odierno tovagliolo.
Fra le altre diavolerie sembra che il grande pensatore abbia ideato anche una macchina per fare gli spaghetti, che custodiva gelosamente non mostrandola mai a nessuno.




Tornando al Codex Romanoff dal quale eravamo partiti per spiare i risvolti segreti della vita di Leonardo, scopriamo una serie di ricette, dalla zuppa di cavallo a quella di rana, e di norme per evitare le abitudini sconvenienti a tavola, quasi un prototipo del famoso Galateo di Monsignor Della Casa.
Queste regole sono troppo belle, che siano state scritte da Leonardo o meno; eccone alcune:

- Non sedere in braccio ad altri ospiti, non sedersi sul tavolo, né appoggiarvi la schiena 
- Non posare la testa sul piatto. 
- Non mettere bocconi masticati nel piatto del vicino. 
- Non pulirsi l’armatura a tavola. 
- Non nascondersi il cibo nella borsa o negli stivali per magiarseli in seguito. 
- Non leccare il vicino. 
- Non roteare gli occhi e fare smorfie paurose. 
- Lasciare la tavola se si deve orinare o vomitare. 
- Non fare allusioni o trastullarsi con i paggi di Ludovico il Moro. 





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