La sera del 3 novembre del 1966 i fiorentini andarono a dormire con una grande pena nel cuore: l'Arno, dopo tante giornate di pioggia insistente, era diventato così gonfio d'acqua da far temere il peggio. E infatti, alle prime luci dell'alba del 4 novembre, il fiume, ormai superate le spallette, sommerse i ponti, invase strade e piazze, portando desolazione ovunque.
Acqua fangosa, melma, relitti d'ogni genere entrarono, vorticando, nelle case, negli scantinati, nelle botteghe, mettendo fuori uso la corrente elettrica. I fiorentini erano atterriti, i bambini piangevano terrorizzati, i vecchi e i malati erano presi dallo sgomento di non riuscire a mettersi in salvo, ognuno cercava di recuperare quello che poteva e di salire ai piani alti per non morire annegato. Il centro storico era ormai completamente allagato e in alcuni punti il livello della piena raggiunse anche i sei metri d'altezza.
Durante la mattina e per tutto il pomeriggio l'acqua limacciosa continuò a distruggere tutto quello che incontrava nel suo cammino. Migliaia di famiglie non sapevano più dove vivere ed avevano perso ogni cosa, centinaia di officine dilaniate, musei, biblioteche, chiese sfasciate, l'alluvione non aveva certo rispetto di niente e di nessuno.
Ripercorrendo gli eventi tragici di quei giorni sembra impossibile che la città sia riuscita a risalire dall'apocalisse in cui si era improvvisamente calata.
Perfino il Papa, Paolo VI, si mosse da Roma per passare la notte di Natale vicino agli alluvionati, portando un messaggio di speranza e di consolazione con parole di incitamento al forte carattere fiorentino"...una tempra vibrante d'intelligenza, di coraggio, di laboriosità... sono virtù, codeste, che.... invece di fiaccare, corroborano le vostre energie e le
moltiplicano".
D'altra parte Firenze non era nuova a queste sciagure: dal 1177 a tutto il 1761 c'erano state ben 54 alluvioni di cui almeno trenta di alto livello, senza contare quella del 3 novembre 1844 che era stata particolarmente violenta.
Di questi tremendi momenti resta una triste memoria nelle lapidi di pietra, marmo e metallo ancora presenti sulle facciate di vecchie case che ci fanno
sapere, come tanti storici silenziosi, che l'acqua dell'Arno era arrivata, di volta in volta, a quella tale
altezza.
Sarà anche "un fiumicel che nasce in Falterona" come diceva Dante in un Canto del Purgatorio, ma tranquillo non lo è di certo!
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