In una vetrina del Museo di Storia della Scienza c'è un cimelio davvero strano: il dito della mano destra di Galileo Galilei. E' contenuto in un'ampolla di vetro con base alabastrina sulla quale è incisa un'iscrizione in latino dettata dall'astronomo pisano Tommaso Perelli che esalta i pregi umani e intellettuali di Galileo. Nonostante che il grande scienziato fosse tumulato nella Basilica di Santa Croce, non fu possibile dedicargli un sepolcro degno delle sue virtù perché era morto come eretico e non si doveva «... frabricare mausolei al cadavero di colui che è stato penitentiato nel Tribunale della Santa Inquisitione, ed è morto mentre durava la penitenza ... ».
Finalmente, il 12 marzo 1737, i resti del grande astronomo toscano furono traslati nella tomba monumentale voluta da Vincenzo Viviani, suo ultimo discepolo.
Durante l'operazione, il proposto Anton Francesco Gori ebbe l'idea di sottrarre alla salma una delle dita per celebrarne la memoria.
ll reperto cominciò da allora un lungo viaggio: rimase per molto tempo esposto nella Biblioteca Laurenziana, ma nel 1841, fu trasferito nella Tribuna di Galileo, nel Museo di Fisica e Storia Naturale. Insieme agli strumenti mediceo-lorenesi, passò infine, dal 1927, nel Museo di Storia della Scienza.
Ma il dito non è la sola "reliquia" nota di Galilei: una vetrebra, infatti, è conservata all'Università di Padova, rubata da Antonio Cocchi, professore di anatomia; un dente e altre dita, pollice e medio, sono stati fortunosamente ritrovati grazie ad un collezionista privato.
Ora siamo a posto: tutto quello che fu prelevato nel macabro rito da Anton Francesco Gori, dal marchese Vincenzio Capponi e da Antonio Cocchi, è tornato alla luce. E meno male che il naturalista Targioni Tozzetti si limitò ad arraffare solo questi resti, perché voleva anche appropriarsi del cranio di Galileo che aveva racchiuso una così eccellente genialità!
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